La vicenda che vede protagonista il piccolo Alfie Evans mi ha particolarmente colpita. Per chi non lo sapesse, Alfie è un bambino inglese di quasi 2 anni, affetto da una gravissima malattia degenerativa e irreversibile del cervello che lo ha portato ad uno stato semi-vegetativo, tenuto in vita da un respiratore. Il piccolo, secondo le varie evidenze mediche, non ha speranza di guarigione, il suo cervello è compromesso e gradualmente non riuscirà a garantire le funzioni vitali. I medici dicono che non sente, non vede, non ha coscienza di cosa e chi lo circonda. Il suo corpo è colpito da attacchi epilettici e i movimenti che sembrano volontari sono causati da riflessi spinali. Nessuno sa quanto può vivere Alfie con respirazione artificiale.
L’ospedale che lo ha in cura, considerando le sue condizioni cliniche e l’impossibilità di guarigione, ha suggerito ai genitori di Alfie di sospendere la ventilazione e di lasciare che muoia assistito da cure palliative. I genitori di Alfie si oppongono e, come prevede la legge inglese in caso di minori, la Corte è chiamata a dirimere la controversia e prendere una decisione nell’interesse del bambino. E in questo caso, secondo la Corte, con sentenza del 20 febbraio, il bene del bambino è che venga accompagnato verso la fine della sua breve vita.
Mi sono fatta coinvolgere a tal punto da andare a leggermi la sentenza del giudice Hayden e dopo questa ho letto anche tutte le altre:
Ad oggi un altro ricorso, datato 17 aprile, è sotto esame.*
La tenacia di questi genitori è ammirevole, contestano le decisioni delle corti usando varie motivazioni tecniche che non sto a ripetere per evitare strafalcioni legali, non essendo io un’esperta. Il succo però della questione è che vogliono che Alfie sia tenuto in vita in modo artificiale fino a morte naturale. Chiedono che venga trasferito a Roma dove un’équipe medica si prenderà carico di lui. Non accettano che sia un tribunale a decidere cosa sia il meglio per il loro figlio.
Ho riflettuto molto su questa vicenda e la copertura mediatica sui social non aiuta ad avere un approccio razionale. Le foto di Alfie commentate da persone che sperano ancora nella sua guarigione sono un pugno nello stomaco e purtroppo rivelano che la maggior parte dei commentatori ha dimenticato che la salute di Alfie può solo peggiorare. Tutti i medici concordano che non ci sono cure.
Alfie è nato 11 giorni prima di mio figlio e quando vedo le sue foto in rete, disteso su un letto di ospedale con i tubi che lo tengono in vita, non posso fare a meno di immedesimarmi nei suoi genitori che vivono questo incubo, impotenti di fronte alla malattia che sta poco alla volta spegnendo il loro bimbo e sapendo che un giudice ha indicato una data certa per la morte del loro piccolo. Umanamente comprendo che, da genitore, farebbero qualunque cosa per il loro figlio.
Ho capito però che immedesimarsi nei genitori di Alfie è un errore, noi tutti dovremmo immedesimarci in Alfie, che è il vero protagonista di questa tragedia.
È un fatto duro da accettare, che si sia genitori o meno: vedere bambini che soffrono e che purtroppo non hanno speranza di sopravvivere ci fa arrabbiare contro tutto e tutti. È un dolore troppo grande da sopportare.
Tenere in vita la speranza è ciò che ci dà la forza di affrontare le difficoltà ma qual è il limite oltre il quale la speranza si trasforma in accanimento? “Dove c’è vita, c’è speranza”: ma è proprio vero?
Non voglio concludere questo post scrivendo la mia opinione sull’argomento: in questi giorni troppi si ergono a specialisti medici, consiglieri spirituali e paladini del diritto. Credo che ognuno di noi dovrebbe riflettere e documentarsi prima di lanciare invettive o campagne mediatiche. Credo anche che le persone coinvolte in un dramma di tale portata vadano accompagnate in punta di piedi, guidate nell’affrontare un dolore immenso e nel capire che al centro di tutto c’è il malato, bimbo, adulto o anziano che sia.
*Aggiornamento: poche ore dopo aver pubblicato questo post, la sentenza della corte suprema è stata resa nota. Conferma che non c’è nessun impedimento all’attuazione della sospensione della ventilazione artificiale e che la sospensione sarà attuata senza ulteriori posticipazioni.
**Aggiornamento bis: Alfie è morto sabato 28 aprile, 5 giorni dopo la rimozione del respiratore.